Dalla basilica romana alla basilica cristiana

Sopra la cappella battesimale di Palazzo Pignano, icona del Santo Sepolcro di Gerusalemme, nel secolo X e poi nell’XI sono state costruite in successione due chiese plebane, la seconda delle quali, di carattere basilicale-protoromanico, è pervenuta fino ai nostri giorni e costituisce un unicum nel territorio cremasco. Questo diffusissimo modulo di chiesa sostanzialmente a pianta rettangolare (spesso arricchita da un transetto, diversamente da quanto avviene a Palazzo), divisa longitudinalmente da colonne o pilastri in tre o cinque navate, che terminano con absidi semicircolari, è anch’esso – come s’è detto – di derivazione romana e assume un interessante significato teologico ancor più rivoluzionario della “rotonda”. Le basiliche romane erano gli edifici civili dove la comunità cittadina si riuniva per incontrarsi, per esercitare la giustizia, per gli affari, per i comizi. L’impianto costruttivo di tali spazi coperti era semplice: una grande aula divisa lungitudinalmente da file di colonne in tre o cinque navate che terminavano da ambo le parti con absidi; in uno dei lati più lunghi si trovavano gli ingressi di fronte ai quali si aprivano vaste piazze porticate (rimangono ancora oggi le tracce delle grandi basiliche presenti nel foro romano, in particolare la basilica Ulpia e quella di Costantino). I cristiani presero a prestito dalle basiliche romane, il termine (oggi si parla ancora di basiliche cristiane), l’idea costruttiva e anche la funzione di luogo dove si riunisce la comunità. I templi pagani, infatti, erano spazi riservati al simulacro del dio e ai sacerdoti, mentre i fedeli affollavano solo le parti adiacenti. I cristiani portarono allo schema basilicale diverse modifiche: ribaltarono l’asse d’ingresso, ponendo i portali su uno dei due lati brevi, quello a occidente, e mantenendo le absidi su quello orientale; a volte aggiunsero il transetto che dava alla pianta della chiesa una forma di croce (ovvio il significato cristologico); lo completarono infine con elementi del modello abitativo. La scelta era rivoluzionaria: la chiesa non veniva pensata innanzitutto come il luogo dove “abita Dio” (questo era il concetto del tempio pagano ed ebraico), ma come lo spazio dove si riunisce la comunità, la “famiglia” dei credenti. Il luogo infatti dove abita Dio è non fatto di pietre, ma è la comunità stessa di cui il tempio diventa aula e segno: “Voi siete il tempio di Dio”, scrive san Paolo ai Corinti (3,16s). L’edificio-chiesa fatto di pietre, indica la comunità-famiglia fatta di “pietre vive”, come insegna anche l’apostolo Pietro nella sua prima lettera: “Stringendovi a Lui (Cristo), pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (2,4-5). Il Signore abita dunque nella comunità dei credenti: essa è il luogo vero dove si adora il Padre in spirito e verità. I cristiani allestirono le loro basiliche (si pensi a quelle di Roma del IV secolo, in particolare Santa Maria Maggiore e San Palo fuori le Mura, escluso l’attuale San Pietro, rifatto nel ‘500 sopra una precedente comunque di carattere basilicale) partendo da questo principio teologico e scegliendo come “icona” il luogo di raccolta della comunità civile romana, strutturandolo comunque in funzione dei misteri che venivano celebrati e arricchendolo di segni tipicamente cristiani. La basilica si venne definendo via via con l’aula vera e propria a tre o cinque navate coperte da capriate. Quella centrale s’innalzava al di sopra dei tetti spioventi delle navate laterali con pareti aperte da grandi finestre che portavano luce all’interno. La semplice facciata era preceduta da un ampio atrio porticato, al centro del quale era collocata la vasca per le abluzioni (proprio come nelle case romane): vi trovavano posto, durante le celebrazioni, i catecumeni e i penitenti. Sotto il tratto di portico addossato alla facciata della chiesa (chiamato nartèce) si aprivano i portali d’ingresso, tanti quante erano le navate interne, di solito tre: quella di destra era riservata agli uomini, quella di sinistra alle donne. La porta centrale si apriva solo per il vescovo o per l’imperatore e la rispettiva navata, era riservata alla celebrazione dei misteri. A metà si trovava il sepolcro del martire, più avanti un basso recinto destinato ai cantori, delimitato da transenne marmoree con i due pulpiti per la proclamazione della Parola (quello riservato al Vangelo, letto dal celebrante, in posizione più elevata). Il pulpito era decorato da mosaici o da plutei marmorei intarsiati, oppure era sorretto da colonnette: il tutto per celebrarne l’importanza come luogo della “teofania” di Cristo Maestro che si realizza mediante la proclamazione della Parola. Più avanti ancora si trovava l’altare, il cuore della celebrazione, anch’esso circondato da transenne marmoree scolpite e coperto da un ciborio retto da colonne per indicarne la sacralità e richiamare lo Spirito che scende a consacrare il pane e il vino. L’altare in pietra era il segno di Cristo che, sempre secondo la lezione di Pietro, è la “pietra angolare” sulla quale tutta la chiesa viene edificata: “Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso.” (1Pt. 2,6). Nel fondo dell’aula, spesso collocata nell’abside, si trovava la cattedra del vescovo o del sacerdote celebrante, sollevata di alcuni gradini. Anch’essa particolarmente adorna perché evocazione del trono innalzato tra cielo e terra sul quale “uno stava seduto” (Ap. 4,2): il Cristo, di cui il vescovo è il segno vivente. E, secondo quanto dice ancora l’Apocalisse (“Attorno al trono poi c’erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi avvolti in candide vesti con corone d’oro sul capo”, 4,4), i sedili dei presbiteri affiancavano a semicerchio la cattedra del vescovo-celebrante. Tutte queste disposizioni simbolico-funzionali rivelavano una concezione misterica dei luoghi di culto, rafforzata dalle decorazioni iconografiche (sculture, mosaici ed affreschi) che raccontavano gli eventi del Vecchio e del Nuovo Testamento, si riferivano ai misteri liturgici che venivano celebrati (moltissimi i simboli del Cristo), richiamavano la Gerusalemme celeste dell’Apocalisse: il Cristo Pantocrator in mezzo ai santi nel catino dell’abside, l’Agnello immolato circondato da dodici agnelli (i suoi apostoli), il fiume della vita rappresentato dal Giordano. Evidente il carattere escatologico di queste raffigurazioni a significare che la liturgia terrestre era prefigurazione e inizio di quella celeste. Lo stile “basilicale” si trasformò lentamente nello stile romanico nei secoli che precedettero l’anno Mille, caratterizzati dalla tremenda frattura causata dalle invasioni barbariche. I pionieri furono lombardi, i maestri Comacini. Di questo clima spirituale partecipa la pieve di Palazzo Pignano, costruita nel secolo XI, e che pure ha subito notevoli trasformazioni durante i secoli. Nel XV è stata rifatta l’abside centrale, sono stati sostituiti i pilastri cilindrici originari con quelli quadrati attuali; infine è stato innalzato il campanile. Nel secolo XVII vennero demolite le due absidiole laterali per costruirvi altrettante sacrestie e venne rifatta la parete perimetrale settentrionale con l’apertura di nuove finestre. Nel Settecento, infine, il prevosto Clavelli trasformò la chiesa in forme barocche con cartonature e sovrastrutture in gesso. Una epigrafe oggi murata sulla parete nord all’altezza della quarta campata ricorda la consacrazione della chiesa da parte del vescovo Griffoni a seguito del rifacimento del Clavelli: “[Nob.] Ill.mus d.d. Faustinus Joseph Griffonus [com.] a’ S. Angelo Episcopus cremen. die xv maii ann. mdccxxix ecclesiam hanc consecravit patrono ejusdem [nob.] et Rev.mo [com.] Curtio Alexandro Clavelli Archid. qui eandem [pene dirutam] instauratam in praesentem formam redegit” (Il nobile illustrissimo signor conte Faustino Giuseppe Griffoni di Sant’Angelo, Vescovo di Crema, il giorno 16 maggio dell’anno 1729, consacrò questa chiesa, patrono della stessa il reverendo arcidiacono conte Curzio Alessandro Clavelli che la restaurò e la portò alla presente forma quando era ormai quasi del tutto diroccata).(4) I restauri per il ricupero delle linee originarie dell’antica pieve di Palazzo Pignano iniziarono negli anni 1909-1911 ad opera dell’ing. Gussalli, ma la chiesa venne definitivamente riassettata con quelli dell’arch. Beppe Ermentini del 1963. E così essa torna a mostrare ancora oggi ancora il suo carattere basilicale, anche se ormai sono evidenti gusti protoromanici, soprattutto nella facciata. La pieve riesce così a far rivivere pure oggi al credente che sa “leggerla” come un libro aperto, l’esperienza mistica delle prime comunità dei credenti. La facciata è schiva, a semplice capanna, senza atrio porticato. La struttura interna è a tre navate con sette pilastri ancora visibili e un ottavo racchiuso nel tamponamento murario delle successive sacrestie (di quello sud è visibile ancora il basamento e un breve tratto di fusto circolare). Con le sue semplici pareti, le sue capriate in legno, la pieve evoca la tenda del popolo nomade nel deserto in cammino verso la terra promessa. I pilastri scandiscono il cammino di questo popolo significando il tempo della storia e il tempo della salvezza: i primi sette archi richiamano appunto i giorni della settimana (cioè il tempo cronologico), mentre l’ottavo aggiunge il giorno della resurrezione ed evoca il tempo dell’eternità: i capitelli carichi di simbologia liturgica e cristologica richiamano l’azione sacra attraverso la quale la comunità trasforma la sua vicenda storica in storia di salvezza. Al fondo della pieve l’altare (una semplice pietra rettangolare) è il segno e il luogo dove si consuma tale mistero della nostra salvezza e l’abside significa la gloria escatologica verso la quale l’intero popolo di Dio è incamminato. Vi è rappresentata la Chiesa militante (raffigurata dai tre santi martiri Fermo, Martino e Giorgio), la Chiesa docente (con i cinque dottori della chiesa occidentale Ambrogio, Gregorio Magno, Gerolamo e Agostino) e, sopra ancora, la Crocifissione del Martire divino (oggi scomparsa), nonché il trionfo di Cristo risorto che sale al cielo circondato dagli angeli reggenti gli strumenti della sua passione: richiamo al Cristo Pantocrator delle antiche basiliche cristiane. Il cammino verso la gloria è in salita per noi credenti appesantiti dalla materia, lo sottolinea il pavimento della pieve che è appunto in leggera salita e quanto più il traguardo si avvicina tanto più il cammino si fa breve e intenso: lo suggerisce la decrescente distanza tra pilastro e pilastro a partire dall’ingresso verso l’altare maggiore (da mt. 3,10 a mt. 2,75). Il che accentua certo la visione prospettica della pieve (ed è quindi un artificio architettonico), ma non solo: vuole indicare appunto la condizione del nostro pellegrinaggio terreno. Anche in questo caso le pietre parlano e l’architettura assume un vero e proprio significato teologico-spirituale.